venerdì 30 dicembre 2016

Guida alla giusta idratazione di un runner - Parte 2

I carboidrati e le bevande sportive 
La formula composta da carboidrati e sali che Gatorade ha lanciato nel 1965, ha generato tutta una categoria di bevande basata sulla teoria che i runners hanno bisogno di qualcosa in più oltre l’acqua durante l'esercizio aerobico intenso per rimanere adeguatamente alimentati e ben idratati. Idealmente, le bevande sportive hanno una concentrazione del 6-8% di carboidrati (14 a 20 grammi di carboidrati per porzione), che permette loro di essere assorbite dall'organismo fino al 30% più velocemente rispetto all’acqua e di fornire un flusso costante di carboidrati per rifornire di energia. Esse contengono anche gli elettroliti sodio e potassio, minerali che vengono persi attraverso il sudore e importanti per la ritenzione di liquidi. 
Alcuni runners  evitano le bevande sportive perché contengono calorie. Questo è un errore, dice Suzanne Girard Eberle, una dietista dello sport e autrice di Endurance Sport Nutrition. "Quando ci si allena al massimo, non si dovrebbe ridurre al minimo l'apporto calorico. Non bisogna operare contro il proprio corpo quando si vuole la giusta performace". Inoltre, la ricerca indica che i carboidrati consumati durante l'esercizio fisico possono sopprimere l'appetito nel corso della giornata. 
E’ consigliato fare uso di queste bevande sulle piste di oltre 30 minuti. Le bevande sportive sono l'ideale prima, durante e dopo l'allenamento del genere. Un runner “stanco” del sapore dell’acqua può anche sperimentare le bevande per sportivi su piste più corte. 
Tuttavia, sulle piste da meno di 30 minuti (allenamenti brevi) al runner non necessitano calorie in eccesso ed è consigliato quindi il consumo di acqua. Inoltre, le persone con uno stomaco sensibile possono avere bisogno di sperimentare con varie marche e sapori durante l'allenamento.

Guida alla giusta idratazione di un runner - Parte 1

Quando ci si avvicina al primo rifornimento  d’acqua lungo il percorso di gara, il runner generalmente può scegliere tra la bevanda sportiva e l’acqua stessa. Quale dei due è più opportuno scegliere? La scelta dipende da alcuni fattori:  tempo di esecuzione e distanza percorsa, livello di intensità, condizioni ambientali e preferenze personali, inoltre vanno considerati anche il quanto e il quando si dovrebbe bere. 
Dover decidere tra le svariate bevande che il nostro generi alimentari ci offre è ancora più scoraggiante. Certo, quasi tutti i tipi di bevande - anche quelle che sono ricche di caffeina o ad alto contenuto di zucchero – sono importanti per il bisogno di liquidi di un runner. Ma alcune opzioni sono semplicemente migliori di altre, soprattutto quando si lotta per la prestazione di punta e di idratazione ottimale. "I runners hanno bisogno di scegliere al meglio le bevande che più si adattano alle loro esigenze individuali", dice Dallas Parsons, un nutrizionista sportivo a Toronto. 
Il gusto è certamente fondamentale, dal momento che la ricerca ha dimostrato che probabilmente siamo in grado di idratarci meglio se ci piace quello che stiamo bevendo. Ma i runners hanno anche bisogno di leggere attentamente le etichette per scoprire la destinazione d'uso di ogni prodotto, dice Chris Carmichael, autore di Food for Fitness: mangiare sano e nella giusta misura .
Abbiamo deciso di riportare quindi una piccola guida che aiuti i runners a fare la scelta più appropriata per quanto riguarda le bevande durante l’attività sportiva(bibite e succhi di frutta). Definiremo le categorie delle bevande più popolari e le raccomandazioni degli esperti su come usarle al meglio. Qualunque cosa scegliate, bisogna comunque berlo freddo e in frequenti piccole quantità. Questa strategia provata assicura che i liquidi vengano assorbiti molto più rapidamente, lasciandovi correttamente alimentati e ben idratati.
Cominiciamo quindi il nostro percorso!
La scelta più semplice: l'acqua

Tra le tante bevande dissetanti, la semplice vecchia acqua può sembrare una soluzione piuttosto banale. Ma l'acqua è meno costosa e più facilmente disponibile rispetto a qualsiasialtra bevanda. E 'anche priva di calorie, fattore molto importate per tutti coloro che tengono sotto controllo il propriopeso. Mentre l'acqua di rubinetto può sembrare meno pura di quella in bottiglia, è spesso soggetta a norme di sicurezzapiù severe ed è generalmente più ricca di minerali. E’ importante comunque bere la bevanda con il gusto più gradevole al proprio palato, per essere sicuri di berne tanta ed essere ben idratati.

E’ consigliato bere acqua sulle piste da meno di 30 minuti. "I runners impegnati in unacorsa di tre migliain genere hanno abbastanza energia immagazzinata per rispondere alle esigenze dell'allenamento e possono semplicemente contare sull’acqua per l'idratazione", spiega Carmichael. L'acqua potabile è anche un ottimo modo per rimanere idratati per tutto ilresto della giornata.
Ad un certo punto, però, è necessario sostituire l’acqua, ad esempio sulle piste di oltre 30 minuti, quando diventa necessario rimpiazzare i carboidrati e gli elettroliti spesi.Quando il gusto dell’acqua diventa ripetitivo, può risultare utilesperimentare nuove bevande aromatizzate che garantiscono sufficiente idratazione.
Per adesso è tutto. 
La guida continuerà prossimamente con il tema "I carboidrati e le bevande sportive"

Ingrassi e pensi sia qualche intolleranza? Sbagliato


Otto società scientifiche hanno stabilito che «non esiste alcun legame tra la presenza di eventuali allergie e il sovrappeso». Test diagnostici inutili: un business molto costoso
Le intolleranze alimentari possono essere responsabili dell’aumento di peso che si riscontra in maniera diffusa nella popolazione? La risposta meriterebbe di essere incisa a caratteri cubitali sul ferro: no.  

Sono state otto società scientifiche - la Società Italiana di Diabetologia, l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, l’Associazione Medici Diabetologi, l’Associazione Nazionale Dietisti, la Società Italiana di Nutrizione Umana, la Società Italiana di Nutrizione Pediatrica e la Società Italiana dell’Obesità - a decretare che «non esiste alcun legame tra la presenza di eventuali allergie e intolleranze alimentari e il sovrappeso», afferma Rosalba Giacco, primo ricercatore dell’istituto di Scienze dell’Alimentazione del Cnr di Avellino. Di conseguenza anche la corsa ai test diagnostici si rivela inutile, per chi ha come obiettivo quello di vedere calare i chili in eccesso. 
Troppi test diagnostici privi di efficacia  
Le società hanno deciso di irrompere sulla scena con un documento condiviso per porre un freno al dilagare di test diagnostici spesso privi di qualsiasi validità scientifica. Le intolleranze alimentari - al lattosioal glutine, all’istamina (contenuta o fatta rilasciare da pesce, crostacei, frutta secca, conservanti), ai solfiti (vino), al glutammato di sodio (funghi, pomodori, ma è anche usato come additivo) e ai dolcificanti (aspartame, sorbitolo) - sono una realtà scientificamente provata.  

Le reazioni sono dovute a un deficit enzimatico (come accade per quella al lattosio), a un’eccessiva reattività rispetto ad alcune sostanze presenti in alcuni alimenti o alla presenza di alcuni additivi alimentari (solfiti, glutammato di sodio, addensanti, dolcificanti). Quello che invece non ha alcun fondamento scientifico è che le presunte intolleranze diagnosticate con i metodi più fantasiosi - test del capello, test della forza, biorisonanza, test del riflesso auricolare, Vega test, test su cellule del sangue - farebbero ingrassare.  
Un business da 300 milioni di euro all’anno (solo in Italia)  
Il ricorso a questi test sta crescendo a ritmi da non trascurare, se ogni anno sono circa quattro milioni gli esami fasulli eseguiti in Italia (costo compreso tra 90 e 400 euro). Totale dello spreco annuo: vicino ai trecento milioni di euro. Una cifra spaventosa, che l’anno scorso aveva convinto gli esperti della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica a presentare le prime linee guida per l’interpretazione dei test diagnostici. «Orticaria acuta, sintomi gastrointestinali e anafilassi sono i segni distintivi delle allergie - afferma Walter Canonica, direttore della clinica di malattie dell’apparato respiratorio dell’Università di Genova e presidente della società -. Oggi, però, basta avere una stanchezza inspiegabile, qualche difficoltà digestiva, mal di testa, dolori alle articolazioni o altri disturbi non facilmente inquadrabili per autodiagnosticarsi un’intolleranza alimentare, prendendo di mira un cibo a caso. C’è perfino chi punta il dito contro una presunta intolleranza quando vede fallire una dieta».  

Anche se c’è l’intolleranza, non è la causa del sovrappeso  
Dunque è inutile compiere la corsa al test, con la speranza che un eventuale esito positivo possa rappresentare il prodromo della perdita di peso. «Non esistono prove scientifiche in grado di validare gli strumenti di diagnosi spesso utilizzati per sostenere il nesso tra intolleranze e obesità - prosegue Giacco -. La positività al test degli anticorpi IgG4 alimento-specifico non indica una condizione di allergia o intolleranza alimentare, ma una risposta fisiologica del sistema immunitario all’esposizione ai componenti presenti negli alimenti». Scopo del documento è quello di fornire al mondo scientifico e professionale un utile riferimento per garantire una corretta comunicazione con i cittadini. 


Ma il messaggio punta ad arrivare direttamente anche alla popolazione, che sempre più spesso ha la possibilità di accedere a questi test prenotando una visita attraverso la rete: senza dunque ricorrere al consulto del medico di famiglia. Le uniche intolleranze alimentari per cui esistono test diagnostici sono quelle al glutine (dosaggio degli anticorpi e biopsia) e al lattosio (test del respiro). Negli altri casi, quando si sospetta una reazione avversa al cibo, il primo passo da compiere è l’esclusione di un’allergia (che provoca una reazione da parte del sistema immunitario) o, in alternativa, quella degli alimenti indiziati dalla dieta. 

Per dimagrire bastano dieta e attività fisica  
Adesso, di fronte al dilagare di approccio privo di evidenze scientifiche, altre otto società hanno deciso di scendere in campo in difesa dei cittadini. Giorgio Sesti, direttore dell’unità operativa di medicina interna dell’azienda ospedaliero-universitaria Mater Domini di Catanzaro e presidente della Società Italiana di Diabetologia, coglie l’occasione per rimarcare che «c’è un solo modo per contrastare il sovrappeso: incrementare l’attività fisica e ridurre la quantità di calorie assunte con la dieta. I risultati migliori si ottengono utilizzando modelli alimentari che hanno radici tradizionali nella dieta mediterranea, tenendo conto delle necessità individuali».  

Alla terapia nutrizionale per la perdita di peso, deve essere associato un cambiamento dello stile di vita, che includa anche un’attività fisica regolare di moderata intensità: almeno trenta minuti al giorno, per cinque giorni alla settimana. Chiosa lo specialista: «Creare un legame tra allergie e intolleranze alimentari e obesità rischia di essere un alibi pericoloso per la salute dei cittadini e un business per alcuni portatori di interesse». 

Pentole e padelle, come sceglierle e come utilizzarle. Qual è il materiale più adatto per una cucina gustosa e sicura?

Che il cibo non si attacchi, che la cottura sia uniforme, che il materiale sia sicuro: sono queste le 3 regole della padella perfetta. Ma nei negozi l’offerta è molto ampia e non è facile capire immediatamente cosa acquistare. Di seguito proponiamo un’analisi delle pentole che più comunemente si trovano sugli scaffali dei negozi, i materiali coinvolti, i loro pregi ed i loro limiti.
PENTOLE IN ACCIAIO
Per realizzare pentole in acciaio inossidabile possono essere usate solo determinate tipologie di acciaio, approvate dal Ministero della Salute per entrare in contatto con gli alimenti. Il principale difetto è che l’acciaio non è antiaderente al cibo, pertanto è necessario utilizzare, durante la cottura, olio o burro affinché l’alimento non “attacchi”. Un problema che non si pone se vengono usate, ad esempio, per far bollire la pasta.
Il secondo punto problematico per questo materiale è la distribuzione non uniforme del calore sulla superficie interna: si creano zone in cui la temperatura è più alta ed altre in cui la temperatura è più bassa, con il rischio che il cibo si bruci in alcuni punti ed in altri non risulti cotto abbastanza.
Per ovviare a questo difetto, spesso all’interno del  fondo delle padelle in acciaio viene inserito uno strato di alluminio che garantisce una diffusione uniforme del calore.
Dal punto di vista della sicurezza alimentare, l’acciaio non presenta particolari problemi se non a contatto con cibi fortemente acidi (salsa di pomodoro per esempio); in questo caso si potrebbe avere il rilascio di metalli pesanti, dannosi per la salute dell’uomo.
La legge italiana però è molto rigida relativamente all’impiego di questo materiale in ambito alimentare e impone stringenti test di migrazione e fissa limiti per metalli come il cromo, il nichel ed il manganese, a tutela del consumatore.

PENTOLE IN ALLUMINIO
L’alluminio è uno dei materiali più impiegati per la realizzazione di pentole. È un ottimo conduttore di calore, è leggero ed economico. I limiti sono sicuramente legati ad una facilità di deformazione in seguito a urti e alla tendenza a cedere residui di metallo che possono interagire con il cibo. L’alluminio è tossico per il sistema nervoso quindi la sua migrazione deve essere scongiurata: per questo motivo viene utilizzato il processo di anodizzazione nel quale uno strato protettivo di ossido di alluminio sigilla la superficie e ne impedisce il rilascio negli alimenti.
Altra strada è la deposizione di adeguati rivestimenti che isolano l’alluminio dall’alimento: i rivestimenti più comuni sono quello in PTFE, quello in “ceramica” e ad effetto pietra.

PENTOLE CON RIVESTIMENTO IN PTFE
Si tratta di pentole realizzate generalmente in alluminio dotate di un rivestimento antiaderente di natura organica, realizzato in PTFE (Politetrafluoroetilene). Il potere antiaderente in questo caso è massimo e si può quindi evitare l’impiego di olio o burro durante la cottura, sono facili da pulire, non bruciano gli alimenti. Hanno però dei limiti legati alla fragilità del rivestimento: deve essere gestito adeguatamente (durante il lavaggio non vanno usate spugne abrasive) e non permette di cucinare utilizzando utensili in metallo.
Il rischio sarebbe quello di rovinare o rigare il rivestimenti in PTFE con la creazione di zone ad elevata migrazione di Tetarfluoroetilene e di alluminio (il metallo che sta sotto il rivestimento), entrambi dannosi per l’uomo.
Le pentole con rivestimento in PTFE inoltre, non devono essere lasciate sul fornello per parecchio tempo perché alla temperatura di 260°C il rivestimento comincia a degradarsi rilasciando fumi pericolosi in una reazione chiamata pirolisi.

PENTOLE CON RIVESTIMENTO CERAMICO
Anche in questo caso il materiale base è l’alluminio sulla cui superficie è applicato uno strato inorganico a base di Sali di silicio. Il rivestimento ceramico è molto resistente alla temperatura (resiste fino a 450°C), non è antiaderente e quindi anche in questo caso va utilizzato olio o burro durante la cottura.
Dal punto di vista della sicurezza chimica, questo materiale è pressoché inerte quindi non presenta pericoli per l’uomo.

PENTOLE CON RIVESTIMENTO AD EFFETTO PIETRA
Nonostante rappresentino le più recenti lanciate sul mercato, non presentano aspetti particolarmente innovativi. Si tratta infatti ancora una volta di alluminio su cui è posto un rivestimento antiaderente in PTFE a cui però sono aggiunti minerali per creare l’effetto “Pietra”.
Le caratteristiche sono pressoche le medesime di una tradizionale antiaderente, con una lieve migliore resistenza del rivestimento all’abrasione. Gli accorgimenti da seguire restano quindi i medesimi già elencati per le antiaderenti tradizionali.

ALTRE TIPOLOGIE
Esistono in commercio molti altri tipi di pentole: rame, ghisa, pietra ollare sono solo alcuni dei materiali usati per pentole destinate ad usi specifici ma comunque poco diffuse tra i consumatori.
Le pentole in rame, materiale preferito dagli chef, hanno una conducibilità termica elevata che garantisce cottura perfetta e uniforme. Il materiale è però costoso e necessità di una manutenzione molto attenta per non deteriorarsi e porre il consumatore in una situazione di rischio.
Con l’utilizzo infatti si può formare un deposito di ossido di rame (il cosiddetto verderame) tossico per l’uomo. Per evitare che questo succeda, le pentole in rame vanno fatte “stagnare” periodicamente: nella superifice interna viene deposto uno strato di stagno che però ha alcuni limiti.
Intorno ai 250°C lo stagno tende ad ammorbidirsi e a quel punto un banale colpo di cucchiaio può danneggiare il rivestimento, facendo sì che il cibo entri in contatto con il rame.

La ghisa invece è un materiale resistente e che garantisce una uniforme diffusione del calore. Mantiene molto bene il calore ed è adatto per le cotture lente. Può arrugginirsi ed è pertanto necessario non usare mai acqua per pulirla: per pulirla si può usare della carta e del sale per scrostarla, ungendola poi con un po’ d’olio prima di riporla.
La pietra ollare è resistente al fuoco e non si deteriora alle alte temperature. È ideale per la realizzazione di pentole. Curioso notare che la pietra ollare abbia una naturale capacità antiaderente e non è richiesto pertanto l’uso di grassi durante la cottura. Hanno però una bassa conducibilità termica e richiedono molto tempo per riscaldarsi ma  anche per dissipare il calore: proprio per questo motivo sono adatte per cotture lunghe a fiamma moderata.
La manutenzione di queste pentole prevede che vengano lavate con acqua salata e asciugate accuratamente, unte con olio vegetale e lasciate riposare per almeno 24 ore.
Non devono essere usati detersivi perché la pietra, data la sua porosità, assorbirebbe le sostanze chimiche e le rilascerebbe in fase di cottura.Chimicamente le pentole in pietra ollare non rilasciano alcuna sostanza dannosa.



Cosa Mangiare Prima Di Andare In Palestra

Alimentazione prima dell'allenamento 
Alimentazione dopo allenamento
Cosa mangiare prima di andare in palestra rimane spesso un argomento che prende diverse pieghe. Anche tu sarai stato tentato di saltare il pasto qualche volta. Sappi che assecondare il bisogno di mangiare qualcosa prima di allenarsi, massimizza i risultati e l’impegno che metti nel tuo allenamento.
Se ti stai chiedendo: “dovrei mangiare prima di un allenamento?” Ti ricordo che alimentare il tuo corpo correttamente prima di un allenamento migliorerà la sua efficacia. Mangiare prima di allenarti impedisce di avere un basso livello di zucchero nel sangue, con il rischio di incorrere in stanchezza e vertigini. Detto questo, è necessario sapere che cosa mangiare prima di andare in palestra per ottenere i migliori risultati.

Perché si dovrebbe mangiare prima di un allenamento?

Ti stai ancora domandando se devi mangiare prima di un allenamento? La risposta è SI. Il corpo ha bisogno di assorbire un po’ di carboidrati, visto che saranno convertiti in energia durante l’allenamento. Se non disponi di abbastanza zuccheri nel tuo sistema, il corpo attingerà dal tuo tessuto muscolare l’energia di cui hai bisogno. E questo immagino tu non voglia che accada?
Il The Journal of Strength & Conditioning ha recentemente condotto uno studio fatto sui ciclisti che hanno digiunato o mangiato prima dell’allenamento. La quantità di grassi bruciati è risultata la stessa. Eppure coloro che hanno digiunato prima dell’allenamento hanno intaccato il 10 per cento di proteine della massa muscolare.
L’obiettivo di alcuni esercizi e allenamenti è quello dell’intensità e del tempo. Alcuni hanno bisogno di essere eseguiti duramente, altri in tempi più lunghi. Tutto questo non è possibile senza il carburante giusto. Inoltre la mancanza di energia si può tramutare in senso di vertigini e decadimento veloce delle prestazioni.

Cosa mangiare prima di andare in palestra?

Quando pensi a cosa mangiare prima di andare in palestra, devi considerare anche la quantità. Eccedere con il cibo o mangiare troppo vicino all’allenamento significa rovinare un allenamento a causa della digestione. Se invece non ti sei alimentato abbastanza, avrai un calo di energia e possibile crisi di fame.

1. Quando mangiare

I livelli di zucchero nel sangue si abbassano nei primi 15 a 20 minuti del tuo allenamento, si utilizzano infatti gli “zuccheri pronti” immessi con l’alimentazione. Essere completamente a digiuno ti può portare a vertigini, stanchezza o a svenimento. Per evitare tutto questo puoi mangiare qualcosa da mezz’ora a un’ora prima di andare in palestra.

2. Cosa mangiare

La risposta ideale su cosa mangiare prima di andare in palestra è uno spuntino che abbia tra le 100 e le 200 calorie. Lo scopo è quello di assumere un mix di proteine magre, carboidrati di qualità e grassi sani che aiutino anche il cuore. Non dimenticare di bere.
L’idratazione non solo rende più facile l’esecuzione dell’esercizio, ma ne aumenta anche la sua efficacia. prova a bere tra i 400 e i 600 ml di acqua nell’arco di una o due ore prima del tuo allenamento. Qui ti lascio alcune scelte alimentari buone per il tuo allenamento;

Lista di cosa potresti mangiare

  • Banane
Le banane contengono carboidrati ad azione rapida che ti forniranno l’energia necessaria ad allenarti. Il loro contenuto di potassio aiuta a mantenere il funzionamento dei nervi e dei muscoli. Mangiare una banana è facile prima di un allenamento al mattino presto.
Le fibre contenute nell’avena permettono al corpo di avere un costante rilascio di carboidrati nel sangue. Avrai una fornitura di energia equilibrata durante l’intero allenamento. Se non vuoi perdere troppo tempo per preparare la tua colazione, ti consiglio un ottimo ed efficace porridge di avena.
I frullati di frutta danno molti vantaggi. Sono una scelta buona su cosa mangiare prima di andare in palestra. Vengono digeriti rapidamente, contengono carboidrati semplici e complessi e comprendono proteine di alta qualità. Questi carboidrati semplici forniranno energia per i primi 15 o 20 minuti dell’allenamento. Gli zuccheri complessi invece forniranno energia dopo circa una mezz’ora. Avrai abbastanza energia per eseguire il tuo allenamento.
  • Muffins 
Lo scopo è quello di mangiare un muffin che contenga anche un po’ di proteine. La proteina può essere data dalle uova, dal burro di arachidi o dalle mandorle e altra frutta secca. Potresti provare questi squisiti muffins ai semi di chia o muffins al grano saraceno.
  • Alternative e altre opzioni
Se non disponi di uno dei cibi da mangiare prima dell’allenamento elencati qui sopra, puoi provare con delle alternative. Dello yogurt, delle barrette energetiche, del pane integrale o fette biscottate con marmellata possono andare bene. Se non ti dispiace del cibo salato di prima mattina potresti optare anche per uno o due piccoli panini con della bresaola.

3. Cosa evitare

Se preferisci mangiare prima del tuo allenamento qualcosa che non è nella lista sopra, ricorda solo alcuni fattori importanti. Non mangiare cibi grassi prima del tuo allenamento. Se puoi evitali. Il grasso viene digerito lentamente dal tuo stomaco. I cibi grassi ti portano lentezza, senso eccessivo di pienezza e spesso e volentieri anche a crampi addominali. Per capirci: una colazione fatta con 2 fette di pandoro belle burrose, non sono certo ciò che ti consiglio di mangiare prima di andarti ad allenare.

4. Tante cose da considerare

Se davvero non hai tempo di mangiare prima di allenarti, potresti chiederti se allenarsi a stomaco vuoto è una buona idea. A dire il vero, tutto dipende dall’esercizio che devi affrontare.. Una corsa leggera, una camminata veloce, una pedalata a basse intensità si prestano ad essere eseguite a stomaco vuoto. Non tralasciare però di bere prima di iniziare. Se pensi di fare esercizio fisico intenso, è necessario mangiare almeno i carboidrati che sono facili da digerire. Pane tostato, fette biscottate e marmellata sono cibi veloci da assimilare, digerire e spendere nelle tue sessioni.

Cosa mangiare dopo un allenamento

Dopo aver capito cosa mangiare prima di andare in palestra, molti si chiedono se si deve mangiare dopo un allenamento. La risposta anche in questo caso è SI. Il tuo corpo ha bisogno di reintegrare, anche se non tutti sentono la necessità di mangiare subito dopo un allenamento.
La cosa più importante da fare dopo l’allenamento è reidratare. Di solito si perdono circa 4 tazze di liquidi per ogni ora di esercizio fisico. Ciò significa che si dovrebbe cercare di bere almeno mezzo litro d’acqua o di più il più presto possibile dopo l’allenamento. Abitudine importante per accelerare il recupero.
Quando pianifichi cosa mangiare dopo l’allenamento, ricordati di non esagerare con le calorie; punta invece a mangiare circa il 50% delle calorie bruciate in allenamento. Il pasto dovrebbe essere idealmente circa il 60 per cento di carboidrati per ripristinare le riserve di glicogeno. Un circa 25 per cento di proteine per riparare i muscoli e un 15 per cento o meno di grassi sani.
Detto questo, tengo a precisare che come al solito i numeri sono solo indicativi. Ognuno di noi è diverso e ha bisogno di conoscersi e provare sul proprio corpo cosa è meglio. Ogni individuo risponde in modi diversi di fronte agli sforzi, alle prestazioni e anche all’alimentazione. Buon allenamento!

Acqua per la preparazione del latte artificiale

Non c’è alcuna differenza apprezzabile (a parte il costo) fra il latte artificiale ottenuto diluendo la polvere in un’acqua “speciale per neonati” e quello che si ottiene diluendo la stessa polvere nell’acqua del rubinetto. Vediamo perché.
Vacanze di Natale: bello viaggiare! Magari al Nord, dove il Natale è ricco di atmosfera. Bravi i genitori di Alice (1 mese), che si sono avventurati fino ad Amsterdam: sono stati benissimo, non era neppure così freddo, e poi hanno fatto un’esperienza istruttiva. Alice è allattata con il latte in polvere, che loro sono abituati a diluire con un’acqua “speciale”, di quelle che si trovano solo in farmacia. Perciò, avendo finito ad Amsterdam  la scorta di acqua che, scrupolosi e prudenti come solo i genitori italiani sanno essere, avevano portato con sé da casa, gli è sembrato naturale recarsi in farmacia per fare rifornimento. La città è piena di farmacie, il papà di Alice parla un ottimo inglese e in Olanda l’inglese lo capiscono tutti: facilissimo fare provviste. Ma non si aspettavano una conversazione più o meno così.
– “Avete acqua per neonati?”
– “Acqua? Quale acqua?”
– “L’acqua speciale per Alice, ha solo un mese ed è allattata al biberon; in Italia usiamo di solito l’acqua…”
– “Perché non ci sono rubinetti in Italia? E neppure nel vostro albergo?”
– “Sì, ma noi siamo abituati all’acqua minerale…”
– “Be, se le cose stanno così… il negozio di alimentari è dall’altra parte della strada!”
Alimentari? I genitori di Alice si precipitano: l’acqua minerale c’è, non così tanta come da noi, ed è piuttosto cara (quasi come quella della farmacia), ma quale sarà quella per i neonati? Le etichette, anche sforzandosi di tradurle col vocabolario, non dicono proprio niente.
Ma come faranno da quelle parti, si chiedono i genitori di Alice; non saranno allattati tutti con il latte di mamma! Forse in albergo sanno qualcosa. E così l’indomani mattina a colazione, incoraggiati dalla presenza di un paio di altre famiglie in sala da pranzo, il papà di Alice chiede informazioni alla cameriera. Di nuovo nessuno li capisce; intervengono gli altri genitori che fanno colazione (inglesi e tedeschi): nessuno ha mai sentito parlare di acqua per neonati. Ma dove vive questa gente! E poi che c’è da ridere? Insomma dai e dai si viene a scoprire che quest’acqua speciale per lattanti si vende… solo in Italia.

La pubblicità dell’acqua minerale

Come mai? Il fatto è che da noi c’è una forte pressione pubblicitaria che si esercita sulle famiglie, ma anche sui pediatri; a volte questa pubblicità si maschera da conoscenze scientifiche. Un esempio per tutti? La rivista ufficiale di un sindacato di pediatri italiani, in uno degli ultimi numeri, pubblica un articolo dal titolo Quale acqua per il bambino?, articolo apparentemente scientifico, a giudicare dal fatto che è firmato da ben undici autori, tutti provenienti dall’Università. Nel testo si prendono in esame cinquanta marche di acqua minerale commercializzate in Italia, per concludere che solo quelle appartenenti al gruppo delle “acque minimamente mineralizzate” sono idonee alla diluizione del latte in polvere. Le più note fra queste acque minimamente mineralizzate si vendono in farmacia e costano intorno ad 1 euro al litro. Perché solo quelle e non altre? E soprattutto perché non l’acqua dell’acquedotto?
Le ragioni di questa scelta sono riassunte in una tabella che spiega che, per essere idonea alla diluizione del latte artificiale, l’acqua deve avere determinate caratteristiche: un residuo fisso basso (meno di 500 mg per litro) e basse concentrazione di minerali: Nitrati meno di meno di 10 mg per litro, Calcio meno di 100 mg per litro, Sodio meno di 10 mg per litro, Cloro meno di 25 mg per litro, Fluoro meno di 1,5 mg litro; inoltre non deve contenere Nitriti né Ammoniaca. Perché tutte queste limitazioni? Troppi minerali altererebbero la composizione del latte, i Nitriti sono indice di inquinamento della falda acquifera. Prendendo per buoni questi parametri, calcolatrice alla mano, mi sono messo a fare un po’ di conti. I sali minerali non sono solo nell’acqua, ma anche nella polvere di latte, e in concentrazione naturalmente molto più elevata. Immaginando di diluire il latte artificiale adoperato da Alice con l’acqua “speciale” comprata in farmacia o, in alternativa, con l’acqua del rubinetto di Milano, Roma e Bari ecco la composizione del liquido che mettiamo nel biberon.
Acqua “speciale”Acquedotto di MilanoAcquedotto di RomaAcquedotto di Bari
Calcio 56,7 mg 64,2 mg66,5 mg62,9 mg
Sodio 27,0 mg28,2 mg27,5 mg28,7 mg
Cloro 58,1 mg58,1 mg58,6 mg61,3 mg
Fluoro0,5 mg0,5 mg0,5 mg0,5 mg
Nitritiassentiassentiassentiassenti
Nitratiassentiassentiassentiassenti
Ammoniaca assente2,0 mg0,38 mg0,43 mg
Come si vede bene la concentrazione dei minerali cambia pochissimo, solo il Calcio è presente in misura maggiore nell’acqua di rubinetto, ma questo aumento, responsabile della maggiore durezza delle acque di rubinetto (tutte però con un residuo fisso inferiore ai 500 mg per litro), non provoca alcuna conseguenza: il calcio in eccesso viene semplicemente eliminato con l’urina.
Ecco spiegato così il mistero: non c’è alcuna differenza apprezzabile fra il latte artificiale ottenuto diluendo la polvere in un’acqua speciale per neonati e quello che si ottiene diluendo la stessa polvere nell’acqua della cannella. A pensarci bene una differenza c’è: il costo. Se un lattante ha bisogno mediamente di un litro di acqua al giorno,  la spesa approssimativa che la su famiglia affronterà per utilizzare l’acqua speciale durante il periodo dell’allattamento (6 mesi) sarà di circa 180 euro; da raddoppiare se si decide di comprare l’acqua in farmacia fino al compimento di un anno. A fronte di una spesa di più o meno 0 euro di un neonato olandese.

Dietologo, dietista o biologo nutrizionista? Come scegliere il professionista giusto ed evitare l’abusivismo

Il problema dell’abusivismo nel campo della dietologia è presente in Italia da molti anni e contribuisce alla grande confusione che c’è in materia tra la popolazione. Alcune figure che si spacciano per nutrizionisti si presentano nei modi più disparati: “etologi alimentari”, “naturopati”,“iridologi”, “consulenti nutrizionali”, “personal trainer”.
L’ordine dei biologi per il 2016 ha come punto principale in agenda la lotta all’abusivo esercizio della professione di nutrizionista con diverse iniziative:
– Comunicazione attraverso i media;
– Affissione di manifesti informativi nei comuni per pubblicizzare e mettere in guardia l’utenza;
– Nomina di biologi referenti nei comuni italiani per combattere in maniera capillare l’abusivismo;
– Proposta di protocollo di intesa con il Nucleo antisofisticazioni (Nas) dei Carabinieri;
– Attivazione di uno sportello di denuncia, preservando l’identità del segnalatore;
– Opera di sensibilizzazione presso le ASL.
Talora anche in centri di estetica, palestre, erboristerie o farmacie vengono elargiti consigli nutrizionali con grande libertà e fantasia. Inoltre ogni giorno siamo inondati da articoli, programmi radio o TV, spot pubblicitari che parlano di nutrizione. Diversi personaggi, presentatori, ostetriche, medici con le specialità più varie dispensano consigli dietetici di ogni tipo. Dalla dieta senza glutine consigliata a tutti indistintamente, alla dieta senza latte e latticini, da una dieta rigorosamente vegana alla paleodieta con tanta carne e verdure…. Una valanga di informazioni che dicono tutto e il contrario di tutto.
Quando il problema poi è l’obesità la situazione diventa ancora più intricata poiché i ciarlatani dell’industria della dieta fanno perdere peso più rapidamente rispetto a trattamenti seri convenzionali. E siccome le persone valutano l’efficacia di un trattamento in base a quanto peso perdono nel minor tempo possibile, finiscono per dare più credito a questi personaggi piuttosto che a veri esperti. Il passaparola di altri che si sono trovati bene è uno dei modi con cui le persone cercano degli “esperti”. Ci consigliano quindi di andare dal tal professionista in un ambulatorio privato, un poliambulatorio, una clinica o un ospedale. Spesso non sanno dirci se è un medico dietologo o un nutrizionista o qualcos’altro.
Ecco qualche consiglio per non fare grossi errori.
Andando sul sito della FNOMCEO è possibile controllate nell’anagrafe nazionale ove sono iscritti obbligatoriamente tutti i medici che lavorano in Italia. Si può controllare:
1) se chi ci ha visitato è realmente un medico. (In passato è successo che rinomati specialisti ad esempio in ortopedia o cardiologia non fossero neppure laureati in medicina… e lavoravano in un ospedale pubblico!)
2) Quale specialità ha conseguito il medico che ci ha visitato. Potremo scoprire che il dietologo o nutrizionista in questione, in realtà è specializzato ad esempio in ginecologia o in chirurgia plastica. Quindi non è un dietologo (medico specializzato in scienza dell’alimentazione). Ci sono molti medici che si spacciano per nutrizionisti anche se non hanno alcun titolo formale.
Il fatto di essere medico può dare un minimo di garanzia poiché se non opera secondo scienza e secondo la deontologia medica può essere chiamato a rispondere del suo operato di fronte al consiglio disciplinare dell’ordine. In genere la preparazione della classe medica nel campo della nutrizione è scadente sia in Italia che all’estero poiché i corsi universitari prevedono poche ore di studio in questa materia. La frequenza di corsi post laurea quali master o specialità affini alla nutrizione possono comunque dare anche al medico una buona preparazione nel campo della nutrizione. Ma non tutti li seguono. Talora, previo consulto con il proprio medico curante, è meglio affidarsi ad un dietista o a un biologo nutrizionista (verificare il curriculum) che sono più preparati in questo campo.
Il dietista è una figura presente da molti anni nei vari reparti ospedalieri e traduce in pratica prescrizioni dietetiche di pazienti che vengono inquadrati dal punto di vista diagnostico dai medici. Hanno una preparazione specifica in dietetica, conoscono la composizione dei cibi e come meglio abbinarli tra loro. Controllando nel sito ANDID (la cui iscrizione però è volontaria) possiamo vedere se è presente il nome del professionista cui siamo interessati.
Una figura emergente nel campo dell’alimentazione è data dai biologi  che – secondo quanto riporta il sito del loro ordine nazionale – nel momento in cui si laureano e si iscrivono all’ordine (Albo – Sezione A) si qualificano tout court come “nutrizionisti”. Seguire dei corsi di dietetica post laurea (master o specializzazioni) è facoltativo, conviene quindi controllare il curriculum di ogni biologo che sceglie di svolgere l’attività di nutrizionista. Sono professionisti con un ottimo background nel campo della biochimica e biologia e possono contribuire a diffondere delle informazioni corrette nel campo della nutrizione. Quindi quando siamo di fronte ad una persona che si qualifica come biologo nutrizionista conviene non solo controllare l’iscrizione all’elenco dell’ordine dei biologi ma anche il curriculum post laurea.
Limitandoci a queste 3 figure (medico dietologo, dietista o biologo nutrizionista) potremmo avere un minimo di garanzia di ricevere delle informazioni equilibrate e corrette.

Alimentazione

Definizione di alimento
Si definisce alimento qualsiasi sostanza che sia in grado di esercitare una o più delle seguenti funzioni:
  • fornire materiale energetico per la produzione di calore, lavoro o altre forme di energia (protidi, glucidi, lipidi)
  • fornire materiale plastico per la crescita e la riparazione dei tessuti (protidi e minerali)
  • fornire materiale 'regolatore' catalizzante le reazioni metaboliche (minerali e vitamine)
Alcuni alimenti sono detti protettivi, indipendentemente dal loro valore plastico ed energetico, in quanto hanno notevole importanza per il normale svolgimento dei processi metabolici.
Essi sono: i cereali, i legumi, i prodotti ortofrutticoli, il latte, i formaggi, le uova, la carne in genere, i prodotti della pesca ecc., che debbono la loro azione protettiva al contenuto di vitamine, elementi oligodinamici, aminoacidi e acidi grassi essenziali.
Alcuni sono chiamati nervini, in quanto agiscono stimolando il sistema nervoso centrale e tramite questa azione influiscono sui processi di digestione e di assorbimento degli alimenti: te, caffè, cacao, alcool, ecc.
Altri sono detti condimenti: tra questi si trovano alcuni alimenti veri e propri (grassi, oli, sale, zucchero, miele ecc.), le sostanze aromatizzanti (aceto, prezzemolo, basilico, rosmarino, lauro, origano, ecc.) e le droghe (pepe, senape, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, zafferano, peperoncino, ecc.)
Dunque ci nutriamo di alimenti e viviamo di principi nutritivi che contengono: glucidi, protidi e lipidi che danno calorie, nonché acqua, minerali e vitamine che non danno calorie.
Il complesso delle 'demolizioni' e trasformazioni alle quali vanno incontro gli oli, gli acidi grassi, il glicerolo, gli aminoacidi presenti negli alimenti come glucidi, semplici o complessi, o come lipidi, o come proteine e divenuti più semplici col processo digestivo, è detto catabolismo. Da prodotti intermedi e finali del catabolismo partono processi costruttivi o biosintetici detti anabolismo.
Anabolismo e catabolismo nel loro insieme formano il metabolimo (sinonimo di trasformazione).
Le fibre e l'amido
L'amido, che nella nostra alimentazione è assicurato soprattutto da cereali e derivati, dai legumi secchi e dalle patate, rappresenta il maggiore componente della razione alimentare italiana, anche se il suo apporto si è ridotto dal 60% circa delle calorie totali degli anni '50 all'attuale 45%.
Gli alimenti ricchi di amido (pane, pasta, riso, patate, polenta, legumi secchi, ecc.) forniscono, insieme all'energia (cioè calorie), anche proteine, vitamine e sali minerali. In più, buona parte di essi aiuta ad introdurre nell'organismo un certa quantità di fibra, che viene così ad aggiungersi a quella contenuta negli ortaggi e nella frutta.
Perché sono utili le fibre all'organismo?
La fibra è l'insieme di quei componenti degli alimenti vegetali che non sono digerite dall'uomo, in quanto manca l'enzima (cellulasi) capace di scindere questi elementi. Contrariamente si verifica negli animali a dieta composta solo di vegetali che necessariamente debbono produrre questo enzima che digerisce le cellulosa. 
Vi sono fibre con strutture chimiche diverse, come quelle insolubili presenti nei cereali (cellulosa e lignina) e quelle solubili contenute nella frutta (pectina), che hanno effetti fisiologici diversi, tutti utili al nostro organismo.
A seconda del tipo, infatti, la fibra contribuisce, nel caso della cellulosa, a regolare le funzioni e l'igiene intestinali; nel caso della pectina, a controllare glicemia e colesterolemia. La fibra contribuisce a "fare volume" nel cibo ingerito e quindi al raggiungimento del senso di sazietà. É bene consumare, sotto le più varie forme, alimenti contenenti fibra (cereali e pane, anche integrali, frutta, verdura, ortaggi e legumi, i quali ultimi contengono entrambi i predetti tipi di fibra), comprendendoli abitualmente nella alimentazione giornaliera.
Formando la massa fecale le fibre contribuiscono ad un regolare funzione intestinale. L'azione di "spazzola" operata sull'intestino e la regolare funzione intestinale contribuirebbero a proteggere l'individuo dallo sviluppo di tumori intestinali.
É inoltre preferibile ingerire fibra attraverso gli alimenti che ne sono ricchi, piuttosto che aggiungere alla propria alimentazione fibre preparate come prodotto dietetico.
Le proteine
Le proteine sono costituenti fondamentali degli organismi viventi e occupano una posizione primaria nell'architettura e nelle funzioni della materia vivente.
Rappresentano oltre il 50% dei componenti organici e circa il 14-18% (a seconda dell'età) del peso corporeo totale.
Gli aminoacidi che le costituiscono sono numerosi, ma solamente 23 si riscontrano frequentemente nelle proteine più utilizzate come alimenti e per questo sono detti "aminoacidi ordinari" altri invece che ricorrono saltuariamente sono detti "aminoacidi occasionali".
Solo otto di questi non sono sintetizzabili dall'organismo umano e per tanto vengono chiamati 'essenziali' e devono essere assunti esclusivamente con gli alimenti.
Il valore biologico di una proteina è la quantità di azoto in essa contenuto, che viene trattenuto dall'organismo per la crescita cellulare, per la riparazione dei tessuti e per mantenimento delle funzioni vitali e non viene escreto con le feci, le urine o attraverso la pelle.
Il valore biologico è definito come:
BV = quantità di azoto introdotto/ quantità di azoto assorbito = 100
Una proteina che possiede un perfetto equilibrio di aminoacidi assorbiti per il 100% e trattenuti per le funzioni dell'organismo ha un valore biologico di 100. Alla proteina dell'uovo è stato assegnato questo valore ed è stata presa come proteina standard di riferimento.
I grassi
L'apporto lipidico ritenuto ottimale è quantitativamente a prevalenza vegetale e deve caloricamente essere pari al 30% per il bambino e l'adolescente e tra il 20-25% delle calorie totali assunte per l'adulto.
É importante che i grassi siano presenti in quantità sufficiente nella dieta in quanto apportano sostanze indispensabili all'organismo, quali acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili.
Rappresentano l'alimento energetico per eccellenza: 1 g di lipidi fornisce 9 Kcal.
E' risaputo che alti livelli di colesterolo nel sangue rappresentano un serio rischio di malattia cerebrale quali l'ictus e di coronarie e del cuore quali l'angina pectori e l'infarto.
Ciò costituisce un problema particolarmente importante anche in Italia, dove, con il cambiamento dello stile di vita e delle abitudini alimentari, la colesterolemia tende a raggiungere valori superiori a quelli desiderabili. Ma modificando il comportamento alimentare, è possibile ridurre il livello della colesterolemia.
In aree del Sud dove le tradizionali abitudini alimentari mediterranee sono maggiormente ancora seguite, l'introduzione di alimenti di origine animale, più ricchi di grassi saturi e di colesterolo, si è dimostrata capace, in un breve arco di tempo, di elevare la colesterolemia a livelli di rischio; per contro il ritorno alle precedenti abitudini ha rapidamente normalizzato la situazione.
Per abbassare la colesterolemia e prevenire il rischio di insorgenza della cardiopatia coronarica, appare di conseguenza necessario evitare di mangiare troppo e consumare, complessivamente, meno grassi e colesterolo.
Per gli stessi fini è preferibile consumare alimenti come il pesce (ricco di particolari acidi grassi polinsaturi), e gli oli vegetali e, tra questi, in particolare l'olio d'oliva.
L'acqua
L'acqua è il costituente fondamentale di tutti gli esseri viventi, ed è presente nell'organismo umano adulto in quantità pari al 60% circa del peso corporeo. Alla nascita raggiunge il 75% circa.
La sua mancanza porta a morte in tempi più brevi del digiuno. Perdite di acqua pari al 10% di quella costitutiva dell'organismo portano all'incapacità di attività fisiche organizzative.
Libera o legata con altre molecole, l'acqua svolge diverse funzioni biologiche:
  • partecipa ai fenomeni digestivi facilitando il transito e la fluidificazione del chimo attraverso il tubo gastroenterico finché i nutrienti, in soluzione, passano attraverso la parete intestinale e vengono convogliati al sangue e alla linfa.
  • è il mezzo in cui hanno luogo le reazioni metaboliche; una volta avvenuto il metabolismo il sangue, che contiene circa il 92% di acqua, trasporta i prodotti residui catabolici dalle cellule agli organismi deputati all'escrezione: reni, polmoni, pelle.
  • consente il passaggio di sostanze dalle cellule agli spazi intracellulari e ai vasi e viceversa.
  • aiuta a regolare la temperatura corporea mediante la sudorazione e il vapor acqueo eliminato attraverso i polmoni.
L'acqua è suddivisa in 2 compartimenti: intracellulare che costituisce all'incirca il 50% del peso corporeo ed extracellulare che corrisponde al 20% del peso del corpo, di cui il 5% è l'acqua del sangue e il 15% è l'acqua interstiziale.
La maggior parte dell'organismo è di origine esogena, viene cioè introdotta con le bevande e con gli alimenti. Una parte è di origine endogena, perchè si forma nei processi ossido-riduttivi come ultimo prodotto catabolico. Essa è di g 0.6 per grammo di glucidi, g 1 per grammo di lipidi e g 0.4 per grammo di proteine. In media l'organismo produce ml 400 di acqua al giorno.
Quando l'acqua introdotta e formatasi nell'organismo equivale a quella eliminata (urine, sudore, polmoni e pelle), l'individuo è in equilibrio idrico.
Il fabbisogno di acqua non è costante ma varia con l'età; infatti il lattante deve assumere più acqua rispetto all'adulto, in rapporto al peso corporeo, perchè le attività metaboliche e la superficie corporea sono relativamente più elevate
Per l'adulto è consigliabile un'assunzione di acqua proporzionata all'apporto calorico della razione alimentare: 1 ml di acqua per Kcaloria. Per il bambino necessitano ml 1.5 di acqua per Kcaloria.